melbourne
MEL I (private collection) 2016
ink printing on paper
84 x 120 cm
Apparent things exhaust, disorient, soothe deep down every fibre of the body, the latter yearning for something else that can be defined as nothing*. However defined, this nothingness appears indefinable to most, including those who call themselves ancient. For some time and on many occasions, I have given much thought to Novalis’s memoirs: “What, then, can I do for my soul, which dwells in me like an unsolved conundrum? Which leaves the visible man the greatest licence because it cannot in any way dominate him?”. Recognition of these distant words reminds me of the same hazy indeterminacy of a moonlit night landscape, with the difference that the sidereal folds just perceived, beyond the curtain of horizons, are fading into the deepest darkness, annihilating themselves like sparks in the rain, and, as I found it difficult to believe in the soul**, in matter, and all that appears, I ended up reflecting on the finiteness of ultimate thought, its faint manifestation in events, the echoes of a memory that I imagine was never born, the nature of a baby’s wailing, absorbed in the sands of time.
Le cose apparenti stancano, disorientano, leniscono nel profondo ogni fibra del corpo, quest’ultimo, bramoso di qualcos’altro che si può definire nulla*. Per quanto definito, questo nulla, appare indefinibile ai più, compresi, coloro che si dicono antichi. Per diverso tempo e svariate occasioni, ho riflettuto molto alle memorie di Novalis: “Che cosa posso dunque fare per la mia anima, che abita in me come un enigma insoluto? Che lascia all’uomo visibile la massima licenza perché non può in alcun modo dominarlo?”. Il riconoscimento di queste parole lontane, mi ricorda la stessa sfumata indeterminatezza di un paesaggio notturno illuminato dalla luna, con la differenza, che le pieghe siderali appena scorte, oltre la cortina degli orizzonti, vanno spegnendosi nel buio più profondo, annichilendosi come scintille nella pioggia, e, poiché mi veniva difficile credere all’anima**, alla materia, e tutto ciò che appare, finivo per riflettere alla finitezza del pensiero ultimo, alla sua flebile manifestazione negli eventi, agli echi di un ricordo che immagino mai nato, alla natura di un vagito, assorbito tra le sabbie del tempo.
*Giorgio Colli, Filosofia dell’espressione
**Fëdor Dostoevskij, Demons