l’aquila
orizzonti (private collection – roma IT) 2021
led illuminated etched plexiglass
170 x 120 x 3 cm
The gaze towards urban horizons is here understood in a metaphysical sense, as an intimate vision of the substance of the world, as dreams that refer to something else, without this other being able to be named. In the apparent indeterminate, there is a perpetual dichotomy, which in all its vulgarity and presumed visual banality*, refers sensitive perception to the illusionistic screen of representation. At an unconscious level, such an exercise recognises variously complex expressive series, which move further and further away from the immediacy of events and increasingly, seek to return to it. Yet, thinking ourselves open to all possibilities, we feel in our depths, that no material satisfaction will ever be able to satisfy the ongoing search for meaning, let alone, the deception perpetrated by ancient language. As we wait, we search for a summit, we aspire, to that summit, the only one we believe possible, the only one that constitutes the justification of things vanished among the tides of the future, the only one, reminiscent of the game of a child imagining space flying above the stars.
Lo sguardo rivolto agli orizzonti urbani viene qui inteso in senso metafisico, come visione intima della sostanza del mondo, come sogni che rimandano ad altro, senza che questo altro possa essere nominato. Nell’apparente indeterminato vi è una dicotomia perpetua, che in tutta la sua volgarità e presunta banalità* sensibile, rimanda la percezione allo schermo illusionistico della rappresentazione. A livello inconscio, un simile esercizio, riconosce delle serie espressive variamente complesse, che si allontanano sempre più dall’immediatezza degli eventi e sempre più, cercano di ritornarci. Eppure, pensandoci aperti a tutte le possibilità, avvertiamo nella nostra profondità, che nessuna soddisfazione materiale riuscirà mai a soddisfare la ricerca continua del senso, tantomeno, l’inganno perpetrato dal linguaggio antico. Nell’attesa, ricerchiamo una sommità, aspiriamo, a tale sommità, l’unica che crediamo possibile, l’unica che costituisca la giustificazione delle cose svanite tra le maree dell’avvenire, l’unica, che ricorda il gioco di una bambina che immagina lo spazio che vola sopra le stelle
*Arthur Rimbaud, Une saison en enfer